Leggendo i giornali locali in questi giorni, anzi in questi
mesi, si assiste, nelle pagine dedicate alla politica, ad un coro di critiche,
da parte di parlamentari, presidente della provincia, consiglieri provinciali
sanniti al decreto sulla c.d. “spending review”, che individua i criteri per un
taglio che dovrebbe portare al tramonto e al conseguente accorpamento di ben 64
province su 107, a cui si aggiungono le 10 destinate ad essere sostituite dalle
città metropolitane entro il 1 gennaio 2014. I nuovi enti provinciali avranno
competenza soltanto in materia di viabilità e trasporto pubblico locale ed in
materia di ambiente, soprattutto per quanto riguarda la gestione dei rifiuti,
venendo privati, quindi, di molte delle competenze che le province hanno fino
ad oggi avuto “in concorrenza” con regioni e comuni. Il tutto assecondando
un’esigenza, oggi più che mai attuale e impellente, di razionalizzazione della
spesa pubblica. Tra le province che dovrebbero essere accorpate c’è anche
quella di Benevento, che non risponde ai criteri individuati dal Governo,
secondo i quali si salveranno solo quelle province che hanno almeno 350 mila
abitanti e che si estendono su una superficie territoriale non inferiore ai
2.500 chilometri quadrati. La provincia di Benevento, così, potrebbe essere
accorpata a quella di Avellino, con la nascita di un’unica provincia del Sannio
e dell’Irpinia. Apriti cielo: ecco i politici locali di tutti i partiti (ma non
del
nostro) risvegliarsi da un lungo torpore (verrebbe da chiedersi, tra
l’altro, dove fossero fino ad oggi) ed insorgere gridando allo scandalo e
facendo a gara sui giornali, ormai quotidianamente, a chi più vuole tutelare
gli interessi dei cittadini sanniti e preservare l’identità del Sannio, ergendosi
a paladini della difesa del territorio, che mai permetterebbero un tale scempio.
E allora ecco che i nostri paladini neo-campanilisti, invece di cercare la
migliore soluzione per amministrare al meglio il territorio, alla luce del
provvedimento varato dal Governo e del nuovo volto che le province dovrebbero
avere, preferiscono fare pressing su Caldoro e Sommese affinché la Regione dia
parere al Governo di mantenere tutte le attuali province campane così come sono
(!), in un muro contro muro che non serve proprio a nessuno, se non a loro
stessi, per una grande propaganda che cerchi di convincere l’opinione pubblica
che lo scopo di questa irriducibile resistenza è quello di tutelare al meglio
gli interessi dei cittadini. Altrimenti, annunciano, ricorso al Tar, e anche
alla Corte Costituzionale, per non farci mancare niente. La questione, così malamente
impostata, sta monopolizzando ormai da mesi il dibattito politico locale. Ebbene,
proviamo a chiederci: cosa ne pensa il cittadino comune, quello della strada?
Cosa gliene importa dell’accorpamento delle province al lavoratore
cassintegrato, al giovane disoccupato, al piccolo imprenditore che chiude l’azienda
oppresso dalla crisi e dalla pressione fiscale più alta al mondo e magari da
crediti insoluti nei confronti dello Stato? La risposta è tanto semplice quanto
immediata: una mazza. Non è che, allora, tutto questo fracasso è dovuto al
rischio, corso dalla valorosa classe politica nostrana, di avere a disposizione
meno poltrone da occupare e forse, con meno uffici ed enti, meno opportunità di
esercitare quel potere clientelare che da anni la tiene a galla? Saremo
maliziosi noi, ma certo è che, per come viene affrontata, questa sembra tanto
la solita questione di palazzo, cara solo ad una classe politica lontana anni
luce dai problemi quotidiani delle persone. Vogliamo una politica diversa, che
innanzitutto parli il linguaggio della verità.
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